Paternità: difesa, attacco o panchina?

Relazione nell’ambito della manifestazione “I martedì di San Salvar” il 25 Giugno 2019

Buonasera a tutti e grazie di questo invito, che mi è giunto qualche mese fa, inaspettato e gradito! Vorrei provare stasera a dire qualcosa sulla paternità di oggi, consapevole del limite di farlo da donna e da madre, da sociologa che ha scritto parecchio sulla maternità e anzi su uno dei tratti più insostituibili della maternità che è l’allattamento materno, mi sembra giusto e onesto dirlo. Quindi è con questo sguardo, che è limitante, ma – io credo – anche potenzialmente interessante che vi parlerò. Cosa si dice dei padri oggi? Fragile, dimissionario o finalmente sè stesso, tenero empatico o debole, presente o assente, il padre di oggi è una figura alternativamente evanescente o in qualche modo descritta con connotati tradizionalmente materni.

Paternità dato culturale ed evolutivo

La paternità, ne avete parlato nel vostro primo incontro, non è un dato naturale o – meglio – non lo è nei mammiferi, per i quali la fecondazione è interna, misteriosa e separata nel tempo dal momento della nascita. In un certo senso è come se nel percorso evolutivo i padri fossero stati progressivamente resi meno significativi. Ben diversa è la situazione delle specie meno evolute: moltissime specie di pesci affidano ai maschi l’accudimento delle uova, alcune specie di uccelli covano, nei mammiferi invece spesso e volentieri il padre è totalmente inconsapevole che quei cuccioli siano suoi. La fecondazione interna la sottrae al controllo maschile e l’evoluzione rende sempre più lunga l’attesa tra l’accoppiamento e la nascita della prole, introducendo una grande incertezza: cos’è successo? I maschi mammiferi normalmente hanno l’istinto di non uccidere i cuccioli della propria specie, ma da qui ad essere padri….

Avete sentito raccontare com’è stato complesso (probabilmente nel neolitico) capire la connessione tra atto sessuale e nascita del piccolo, per questo essere padre è stata storicamente una acquisizione culturale ben prima e ben più che un dato naturale, essere madre invece è pura natura, è un’esperienza incontrovertibile che condividiamo con tutte le specie di mammiferi. Per questo si dice che essere padre è una scelta, che richiede intenzionalità, volontà, ma mantiene sempre una certa artificialità e per questo è un ruolo fraglie, in evidente svantaggio rispetto al materno. Come afferma lo psicanalista Luigi Zoja, autore del saggio forse più importante sulla paternità che abbiamo in Italia (“Il gesto di Ettore”) non è stata l’evoluzione animale ma solo la storia (e la preistoria) ad aver dato al maschio la qualità di padre: per questo la vive con più rigidità, diffidenza, meno spontaneità di come la madre vive la sua condizione. Perché se non l’ha ricevuta dalla natura, ogni maschio la deve imparare nel corso della sua vita, ma può anche non impararla mai.

La madre rende il padre padre à relazione

Ma c’è un altro dato originario nell’esperienza dell’umanità e nell’esperienza di ogni coppia genitoriale e che va valutato e che è il punto di partenza della mia riflessione ed è che la madre a rendere il padre padre: è il gesto della madre che ha il figlio in grembo e alza lo sguardo invitando il piccolo a guardare il padre a creare il rapporto tra i due, se la madre non facesse da mediatrice, il figlio non arriverebbe mai a riconoscerlo. In questa alleanza tra donna e uomo, che fa sì che la donna doni il figlio al padre e il padre al figlio, c’è una radice primaria che va preservata e mantenuta – a mio parere – sopra ogni rivendicazione e – per me – significa che la paternità per questi tempi nuovi deve svilupparsi a partire dalla relazione e non contro, come in parte sta accadendo e ne parlerò.

La società dei padri

Allora inizialmente i maschi, per divenire padri, hanno dovuto darsi delle norme, formarsi questa identità, poi esibirla e proiettarla all’esterno: il ritorno a casa del maschio cacciatore per la nostalgia della femmina e del piccolo ha portato il nomade a diventare stanziale e intorno a questo nocciolo si è sviluppata la famiglia, cellula della società, la famiglia è quindi una costruzione, non è un elemento originario, com’è invece la diade madre-figlio; la crescita della figura paterna ha consentito la nascita dell’Occidente patriarcale. La tradizione ebraico cristiana si colloca qui ovviamente, con il Padre che è nei cieli, ma c’era già Zeus padre degli dei.

La fine della società dei padri

Avete già parlato dei processi che hanno condotto l’autorità del padre a democratizzarsi (almeno in parte), ma nell’ultimo mezzo secolo si è anche infragilita (fino ad arrivare a parlare di “evaporazione del padre” come fa Lacan), eppure non c’è certo da  auspicare una qualche forma di ritorno al passato, a un’età dell’oro patriarcale nella quale il pater familias poteva disporre della vita e della morte dei suoi familiari, perché restaurerebbe un primato maschile ricco di abusi, dei quali anzi dobbiamo continuare a liberarci perché fin troppo presente ancora oggi. Però questi cambiamenti richiedono tempi lunghi per la transizione verso nuove forme. E, mentre viviamo questa transizione, i segni del patriarcato rimangono se non altro sotto forma di nostalgia che si esprime in vari modi: nei fondamentalismi di vario genere, nella riduzione della funzione materna a oggetto di scambio economico (GPA) e anche in politiche aggressive e claniche. Questo perché non ci si può liberare dai padri senza conseguenze: l’odio verso i padri ostacola la vita dei figli, non li libera affatto dalla sua ombra. Per liberarsi dal padre bisogna riconoscerne il valore.

Il padre di oggi com’è? Nell’Indagine Istat 2006 “Diventare padri in Italia” si dice che in Europa il modello delle famiglie “a doppio reddito”, in pochi anni ha scalzato quello tradizionale dell’uomo breadwinner, l’ingresso massicio delle donne nel mondo del lavoro ha causato questo cambiamento, ma non significa che siamo giunti a una ridefinizione dei ruoli di genere nella gestione dei compiti domestici e di cura. I vari paesi reagiscono con velocità diversa al cambiamento che vede una maggiore partecipazione dei padri nell’allevamento dei figli. In molti casi, tale processo è stato incoraggiato anche da politiche attive, volte a favorire il coinvolgimento paterno. Emblematico in tal senso è il contenuto della Direttiva comunitaria sui congedi parentali recepita poi dai vari ordinamenti nazionali – che introduce il principio della sostituibilità dei genitori lavoratori nei compiti di cura, estendendo ai padri molti dei diritti che in passato erano riconosciuti alle sole lavoratrici madri. Ma se il tempo trascorso dai padri con i figli è effettivamente cresciuto in questi ultimi anni, anche se si è ancora ben lontani dalla completa fungibilità dei ruoli materno e paterno. In Italia appena l’11% dei padri si occupa in modo “sostanziale” dei figli in età prescolare, contro il 57% dei danesi, il 31% dei finlandesi, il 24% dei britannici, il 20% dei tedeschi e il 16% dei francesi. La partecipazione dei padri italiani è più alta per coloro che hanno un livello di istruzione intermedio e un impiego da dipendente, nel pubblico o in una impresa di grandi dimensioni, se si vive al nord, se anche la partner lavora.  Vivere nelle regioni del mezzogiorno, avere una moglie non occupata e un orario giornaliero di lavoro più lungo restano fattori associati ad un più basso livello di coinvolgimento nel lavoro familiare.

Recentemente sono stati resi pubblici i risultati di un’indagine condotta in Spagna sugli effetti dell’introduzione delle due settimane di congedo di paternità avvenuto nel 2007 e raddoppiato nel 2017. Era stata una misura accolta con grande entusiasmo dagli spagnoli che l’hanno chiesto nel 55% degli interessati. I risultati dell’indagine hanno rivelato che se da un lato l’effetto di questa politica ha portato proprio dove si sperava (a una migliore distribuzione del carico di cura sui due partner e un maggior numero di donne che riescono a restare nel mercato del lavoro), dall’altro – però – si è verificato anche un effetto inatteso. Ci si è resi conto, infatti, di una tendenza nelle famiglie in cui i padri avevano usufruito del congedo nel fare meno figli rispetto alle altre: dopo l’istituzione del congedo di paternità, i sondaggi tra gli spagnoli dai 21 ai 40 anni, hanno mostrato che desideravano meno figli di prima. L’ipotesi dei ricercatori è che trascorrere più tempo con i figli, o la prospettiva di doverlo fare, potrebbe aver reso gli uomini più consapevoli degli sforzi e dei costi associati alla crescita dei figli modificando le loro preferenze.

Si tratta di una misura che in Italia non immaginiamo neppure, noi siamo ancora fermi ai 5 i giorni di congedo obbligatorio previsti per i neo papà, ai quali si aggiunge un ulteriore giorno di congedo facoltativo (che è possibile richiedere previa rinuncia di un giorno di congedo da parte della madre, eppure è interessante rifletterci anche perché sembra contraddire la tendenza ad esempio svedese che vede l’impegno paterno nella cura andare di pari passo con una crescita del numero dei figli. Forse questo ci parla di una paternità “mediterranea” (noi siamo certamente più vicini agli spagnoli che agli svedesi) ancora da acquisire pienamente. Insomma una paternità che stenta sulla strada della corresponsabilità e per questo è tentata dalla resa e dalla rinuncia o comunque è ancora da costruire.

Infatti nonostante i cambiamenti dovuti al lavoro maschile e alla nuova immagine del padre, la maggior parte della letteratura concorda nel ritenere che l’arrivo di un figlio porta ad una “cristallizzazione dei ruoli di genere” nell’ambito della coppia, con un aggravio di lavoro per la donna. Si parla di “doppio carico” (dual burden) per le donne impegnate nella famiglia e nel mercato del lavoro. L’aumento del tempo dedicato alle attività domestiche e di cura che investe le donne aumenta la tensione e il livello di stress percepito dalle donne lavoratrici e riduce il grado di soddisfazione nella relazione di coppia. Spesso è proprio la “violazione delle aspettative” che avevano sui padri ad esacerbare le difficoltà delle donne. Questo non significa che i padri non stiano cambiando, semplicemente ci dice che la transizione è più complessa di quello che potrebbe sembrare e non è facile neppure descriverli.

Preparando questo incontro sono incappata in varie tipologie di padri, che tengono conto di diversi aspetti, io ne propongo una che mi piace perché tiene presente contemporaneamente il rapporto con i figli e con la partner, proprio perché ritengo che la dimensione relazionale con la donna sia e debba essere costitutiva, la tipologia di Carmine Ventimiglia (sociologo della famiglia che insegna a Parma): il padre moderno, il padre postmoderno che poi si scotomizza in padre oblativo e padre rivendicativo.

  • il padre moderno è il padre convenzionale, quello che sostanzialmente ripropone comportamenti in continuità con la tradizione. Oppone ragioni di non-compatibilità e di non-conciliazione al proprio coinvolgimento e quindi condivide solo parzialmente con la partner la gestione familiare e genitoriale, sempre con riserva, a partire dall’assegnazione di specificità di ruoli e di funzioni diversificate esclusivamente legati al genere.
  • Il padre postmoderno è il padre che si interroga su sè stesso, sulla paternità, sul rapporto di coppia, che vuole viversi come discontinuo rispetto alle proprie memorie, diverso dal proprio padre e vicino all’esperienza affettiva vissuta con sua madre. È il padre che, sia pure a fronte del riconoscimento della disparità e della ineguaglianza che la differenza di genere produce nella quotidianità, tanto nel rapporto di partnership quanto in quello genitore, cerca un proprio percorso identitario. Questo viene percepito e vissuto in termini di rottura con la propria biografia, assumendo il riconoscimento della specificità femminile come conferma di una specificità anche propria, maschile, anche se ancora non espressa pienamente.
  • Il padre oblativo è il padre offerente, il sostegno, che dà una mano in casa, aiuta la partner nella gestione del menage casalingo e ritaglia tempi e spazi per il rapporto con i figli, lo vediamo affiancare la madre nell’accudire i figli piccoli, è quello che – con una brutta espressione – chiamiamo “mammo”
  • Il padre rivendicativo appartengono a questa categoria dal padre che sottrae tempo al proprio calendario quotidiano per far fronte alle esigenze della partner e alle domande relazionali dei figli, ma lo fa con rimpianto o che si auto-assolve rispetto a quella asimmetria di compiti e di presenza enfatizzando il proprio impegno e la propria disponibilità. È insomma il padre che invoca gratitudine dalla partner per il ruolo che svolge.

Queste quattro tipologie di padri sono compresenti oggi, oserei dire che sono presenti anche nello stesso uomo in diverse fasi della crescita dei figli. Ad esempio oggi che si dà molta enfasi alle prime fasi di vita del bambino, nascita e periodo perinatale, capita che il padre sia molto presente in questa fase, mentre rinunci ad esercitare un ruolo attivo nell’adolescenza, quando probabilmente le attese della partner e dei figli crescono.

Padri deboli e crisi del maschio

Io ritengo che effettivamente viviamo in una fase nella quale i padri sono soprattutto impegnati nel creare discontinuità con la propria esperienza di figli, padri che accolgono ed esprimono la propria emotività ed affettività, eppure al padre i figli chiedono anche altro.

Episodio del padre di Freud: il figlio chiede che il padre sia sì buono, ma anche forte, è il paradosso del padre: di regola, la madre sarà valutata come madre per quello che fa con il figlio: compito grande, certo, ma chiaro e identificabile. Invece il padre non è padre solo per quello che fa con il figlio, ma anche per quello che realizza nella società. E più il paterno rinuncia ad esprimere la propria forza controllata, più emerge una aggressività incontrollata: se i padri smettono di esprimere anche questa parte di sé la società non diventa una società dai valori più femminili, anzi “riarma l’orda dei fratelli, spinge l’identità maschile a regredire verso una mascolinità selvaggia e sempre più competitiva”, l’aggressività della nuova politica, ne è esempio. I padri non aggressivi sono in aumento. Ma a questa evoluzione si accompagna spesso un’involuzione: aumentano anche i giovani che si affidano solo al gruppo e sostituiscono il padre con il capobanda.

Allora in questa complessità, (che esclude qualunque età dell’oro), di trasformazione dell’immagine paterna è tutta l’identità maschile a soffrire, le rilevazioni sulla prestazione dei maschi a scuola indicano che questa ha continuato a calare rispetto a quella delle femmine. Il modello maschile adulto ha perso di pregnanza (non solo padre, ma anche il prete e il professore), mentre le ragazze hanno trovato e continuamente trovano nuovi modelli di ruolo. la funzione educativa oggi spesso e volentieri viene demandata alla madre, che si sobbarca non solo quel che tradizionalmente era suo compito (la gestione della casa) ma anche quel che un tempo veniva condiviso con il marito: l’educazione dei figli, insomma, la madre ha moltiplicato le proprie funzioni, considerando anche che secondo  il rapporto Istat “Madri sole con figli minori” pubblicato nel 2018, risulta che nel 2015-16 sono quasi 900 mila, precisamente 893 mila, le madri single, che rappresentano l’86,4% dei nuclei monogenitore, in totale, nel 2015-2016, sono un milione e 215 mila i bambini fino a 17 anni che vivono solo con la madre, pari al 12,1% dei minori, questo ci dice qualcosa sulla presenza e assenza dei padri dalla vita dei figli.

 

Accanto al padre presente ed empatico, quindi, per restare su dati di realtà che sono diversi dalle pubblicità dell’Ikea, c’è anche il padre che si è (volutamente o no) sottratto a quasi tutto e che, anche, quando c’è fisicamente non riesce ad opporre dei no e quindi ad affrontare il conflitto, indispensabile alla crescita e alla maturazione dei figli. Tutto questo richiede oggi un investimento più forte che in passato, un supplemento di volontà, uno sforzo da parte del padre.

Il padre del XIX e inizio XX secolo era raffigurato sempre con tutta la famiglia, al centro, in un soggiorno ammobiliato e apparteneva a una categoria professionale e sociale, molto difeso, molto vestito, molto compreso nel suo ruolo, il padre di oggi è a petto nudo con un bambino in braccio, preso nella simbiosi ed estraneo alla società, ripiegato sul privato non può essere l’esito di questo percorso di costruzione di una nuova paternità perchè non si capisce più in che cosa si distinguerebbe dalla madre, il padre tradizionale doveva fare delle scelte cioè fare del male e non solo del bene, doveva sporcarsi le mani, ora la fantasia sembra quella di un padre disinfettato e empatico come una madre. Oppure il padre decisamente non c’è, è altrove per lavoro o è uscito dal nucleo familiare. A volte le due figure si sovrappongono, è l’esperienza del padre separato, estromesso de facto dalla vita dei figli, che se ha certamente anche riscontri reali, negli ultimi anni è però diventato anche una figura ambigua, se consideriamo che esistono associazioni dei padri separati, associazioni molto forti anche economicamente, che esprimono figure politiche di riferimento, mentre non esistono omologhi delle madri separate.

Il padre impara dal figlio

 

La tensione tra rigidità passate, sfide presenti e orizzonti futuri rende più vulnerabili e fragili: ma è certamente anche una inedita opportunità di riappropriazione di una parte di sé accudente e sensibile, per troppo tempo negata da norme e modelli di mascolinità patriarcali e stereotipati.

C’è anche un altro aspetto che vorrei sottolineare di questo percorso di costruzione di nuova paternità, tutt’altro che lineare come spero di aver reso chiaro, ed è il fatto che il rapporto più vicino con il bambino consenta una maturazione nuova al padre. Nel mondo animale sono solo le madri ad imparare dai loro piccoli, nella società umana questo è accessibile anche ai padri. I figli, con le loro aspettative, hanno una forte influenza sui genitori (diversa, non primaria come quella dei genitori sui figli, ma quotidiana e profonda). Le aspettative, le proiezioni, contribuiscono a farci essere quello che l’altro si attende da noi. In genere, poiché il bambino piccolo considera il genitore assolutamente affidabile, buono, maturo, lo aiuta effettivamente a diventare più maturo, più sicuro, più generoso, e gli fa vedere le cose con nuovi occhi, stimola una forma di intelligenza nuova.

Diventare padri è quindi una immensa esperienza formativa e, quando intervistati, i neopadri dicono che ora sono più concentrati, amano il lavoro, ma sanno staccare, sono più pazienti, più empatici e questo nonostante in Italia, come dicevo, gli spazi concreti di riconoscimento sociale della paternità (in particolare nei permessi) sono scarsi.

Diventare padri — e ovviamente madri — è una radicale modificazione dell’identità e significa quindi riconoscere la grande potenza dell’altro nella propria vita, ma esiste innegabilmente una asimmetria tra padri e madri, per diventare padri occorre che ci sia una donna che diventa madre, che accolga, custodisca e metta al mondo una nuova vita in un processo ben più complesso di un orgasmo. RELAZIONE Si diventa padri grazie ad una donna e non può essere altrimenti, anche nella immensa e per me spaventosa pratica dell’utero in affitto si dipende dalle donne, depotenziandone il ruolo fino a farne delle schiave e incubatrici umane. Ma senza arrivare a quelle pratiche io ritengo che qualsiasi elaborazione sulla paternità non potrà essere realizzata solo dal maschio, avrà bisogno di trovare il suo compimento nella relazione di coppia, nell’incontro con la maternità. Anche perché il rischio che si creino cortocircuiti relazionali è sempre in agguato, come vi dicevo mi sono occupata parecchio di allattamento materno, sono spesso i padri a opporsi o a rendere più difficoltoso l’allattamento: da un lato perché sottrae loro la compagna per un tempo lungo e dall’altro perché soffrono la diversa vicinanza della madre col piccolo alla quale non possono giungere. Così si inizia, magari con ottime o comunque non consapevoli intenzioni, a proporsi per inserire una poppata col biberon di notte e a compromettere così di fatto l’allattamento. Ci vuole maturità per accettare che la diade madre bambino ha alcuni tratti unici e quasi sacri, ma questa è la strada.

La letteratura psico-sociale, conferma da diversi punti di vista la necessità della dimensione relazionale nella ridefinizione della paternità. Si è generatori di vita attraverso una relazione con la propria compagna. E si diventa padri allargando la circolarità della relazione madre-figlio, aprendo la famiglia a una relazionalità più ampia, potenzialmente infinita.

 

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